Gianmarco Piva si racconta

  • 26 Agosto 2019

A luglio abbiamo incontrato Gianmarco Piva, giocatore cresciuto nella grande famiglia del Rugby Paese, ora promessa del rugby. Proveniente da una storica famiglia di rugbisti, Gianmarco ha giocato la scorsa stagione con il Rugby Rovigo Delta e partecipato al Sei Nazioni Under 20. Da poco si allena con i Leoni del Benetton Rugby, realizzando uno dei più grandi sogni per un giovane trevigiano: rappresentare la propria città al massimo livello sportivo.

Gianmarco, stai raggiungendo grandi successi a livello sportivo, pur essendo molto giovane. A che età hai iniziato a giocare a rugby?

Ho iniziato a giocare quando avevo solo 5 anni nella Scuola di Minirugby del Paese Rugby. Contemporaneamente praticavo tanti altri sport come calcio, tennis, ping-pong. Ci sono stati periodi in cui ho staccato dal rugby perché caratterialmente sono un tipo “caldo”, ogni tanto avevo bisogno di una pausa; mi facevo coinvolgere in altre discipline, però da sempre lo sport con un posto privilegiato nel cuore è il rugby.

Ora giochi come mediano. Quali sono le caratteristiche del tuo ruolo?

Il mediano deve essere furbo, uno stratega per la squadra. Detta il tempo del gioco, è un po’ il playmaker e gestisce gli avanti, i più grossi e fisici. Per essere mediano, ci vuole l’x-factor, oltre a velocità e resistenza!
È un ruolo di regia molto completo: il mediano deve saper fare tutto.

Con quali squadre hai giocato? L’anno scorso sei stato con il Rovigo?

Sì, ero in prestito al Rovigo, poi ho iniziato ad allenarmi anche con la Benetton.

Come hai conciliato lo sport e la scuola?

All’epoca del terzo e quarto anno di superiori, sono stato ammesso all’Accademia di Rugby a Mogliano, quindi mi sono trasferito al Liceo Scientifico Berto. Durante la settimana, ero in convitto. Alla mattina andavo a lezione, tornavo all’una, pranzavo e poi dalle 16 alle 19.30 c’era l’allenamento.

Che periodo è stato quello dell’Accademia?

È stata un’esperienza straordinaria! A Mogliano, mi allenavo con i migliori giocatori del territorio e, nel weekend, come gli altri iscritti, tornavo al mio club per giocare le partite. Dall’Under 18, ho smesso di giocare con il Rugby Paese e sono passato a giocare con la Benetton. Il rapporto con gli allenatori e i compagni di gioco di Treviso, all’inizio, era condizionato dal fatto che ero quello «nuovo» e nessuno mi vedeva prima del weekend…

Il primo anno da matricola, in Accademia, è stato duro, per il rapporto non sempre facile con i giocatori più grandi, definiti “nonni”… Nonostante questo, dopo un periodo di transizione, in cui ho cambiato ruolo (giocavo come ala), sono stato nominato capitano dell’Under 18 del Benetton Rugby e sono riuscito a tirare fuori il meglio di me.

Come è proseguito il tuo percorso?

Al termine della quarta liceo, sono passato all’Accademia Nazionale a Calvisano dove entrano solo 30 giocatori, provenienti dalle 9 Accademie di Rugby esistenti in Italia. A quel punto, ho lasciato la Benetton per cogliere l’opportunità che la Federazione mi stava dando, nella scuola dei futuri giocatori nazionali.

Oggi qual è la tua giornata tipo?

Ora studio all’Università, sono iscritto a Economia a Padova, mi piace molto. E mi alleno… Per conciliare tutto, è necessario voler raggiungere un obiettivo. Certo, ho avuto momenti più difficili, soprattutto in passato ho sofferto la lontananza dai miei punti di riferimento, la famiglia e gli amici soprattutto. In Accademia ho giocato rispettando l’impegno che mi ero preso, ma adesso che sono di nuovo a Treviso, a casa, mi sento davvero bene e riesco a dare il massimo.

Vuol dire che l’ambiente in cui ti trovi funge da stimolo; riesci a coltivare le relazioni con il gruppo e questo fa la differenza, evidentemente…

Sì, oltre all’aspetto fisico e tecnico, essere sereni è la prima cosa.

Pur essendo molto giovane – a 19 anni – hai percorso tutte le tappe…
Quest’anno hai partecipato al Sei Nazioni: che “prima esperienza” è stata?

Sì, ho fatto il percorso ideale.

Quando ho partecipato al Sei Nazioni non mi sentivo al 100%, non è andata come volevo e forse non era il momento giusto.

Quando credi che si diventi definitivamente un professionista nel rugby?

Diventi professionista già in eccellenza. Ti alleni mattina e pomeriggio e ti dedichi solo al rugby. Alla Benetton sei a tutti gli effetti in un club di altissimo livello.

Spesso vieni qui al campo del Paese Rugby – è un po’ casa tua – ad usufruire degli spazi e dell’attrezzatura. Come ti fa sentire?

Sì, i campi sono vicini a casa, mi piace tenermi allenato e qui mi sento bene. Mio papà Gianluca ha giocato a rugby fin da ragazzo, presso questi impianti sportivi. Quando ero bambino, lo andavo a vedere giocare le partite: era alla fine della sua carriera; io avevo 6 anni e lui 35. Ha smesso per qualche anno, poi ha ripreso a 40 anni e ha giocato l’ultima stagione. Dice di essere stato il più forte mediano di sempre [ndr, sorride]. In effetti il gioco era diverso; come nel calcio il mondo del rugby è cambiato molto. Mio padre si allenava sempre, tutte le volte che poteva, perché nel frattempo lavorava. Adesso, a entrare in campo, sono io e lui è la prima persona che chiamo, al termine della partita: ricevo sempre più critiche che complimenti, ma per me è molto stimolante. Ho tanta stima di lui e lo prendo come punto di riferimento. Il suo è il miglior parere che possa chiedere! Poi, con l’Under 16 del Paese Rugby, gioca anche mio fratello Tommaso…

Confrontando il rugby di un tempo e quello di oggi, quali sono i cambiamenti che in generale noti nel gioco?

Il livello si è alzato e il fisico dei giocatori di oggi è molto più evoluto. La cosa più evidente è la preparazione. I talenti ci sono sempre stati – i “Maradona” della situazione, ma la componente fisica e tecnica è oggi molto più importante. Ad esempio, quelli che calciano ora sono bravi tanto quanto quelli di 20 anni fa ma gli impatti di oggi non sono quelli di una volta. Oggi c’è grande attenzione anche nei confronti dello stato psichico ed emotivo. Questo fa la differenza.

Complimenti per la tua maturità, avere le idee chiare ti rende più determinato!
Quali sono i tuoi obiettivi?

Grazie. Sicuramente ci vuole del talento per raggiungere gli obiettivi ma non basta, forse, nemmeno quello. Mi piace pensare a idoli come Ronaldo, Michael Jordan, LeBron James, nelle varie discipline sportive. È evidente che una passione irrefrenabile li abbia guidati e una costanza nel volersi migliorare. Nel rugby, voglio diventare uno tra i migliori e cerco di raggiungere l’obiettivo impegnandomi con tutte le mie forze.

Noi del Rugby Paese te lo auguriamo!

 

 

(intervista a cura di Ferena Lenzi)