Intervista a Marius Mitrea
L’intervista a Marius Mitrea – classe 1982 – si svolge a Paese.
È una sera di fine luglio, nemmeno troppo calda. Il campo da rugby profuma di erba appena tagliata. Non c’è nessuno in giro. Occupiamo due posti sulle gradinate e iniziamo a parlare.
Le domande appuntate sul taccuino sono tante. Altrettante sono le curiosità ma decidiamo fin da subito di non svolgere l’intervista in modo classico, domanda-risposta. La formula di una conversazione libera risulta il modo più rispettoso e al tempo stesso sincero per entrare nella singolare vita di un arbitro internazionale.
Inevitabile tornare indietro alla fine degli anni ‘90 quando, dalla Romania, Marius si trasferisce a Paese con la famiglia. Il gioco del rugby gli consente di integrarsi velocemente e l’allenatore Giorgio Troncon, soprannominato Acciaio, è una figura importante fin da subito, per l’incoraggiamento e i consigli. Se a Galati, infatti, giocava ancora nelle giovanili, una volta arrivato in Italia, Marius è destinato, per ragioni d’età, alla prima squadra, con cui gioca tre/quattro stagioni.
È l’inizio della stagione 2005/2006 quando deve sospendere gli allenamenti a causa di un infortunio. Diventare arbitro non è ancora nei suoi piani: gli piace giocare ma, prevedendo un periodo di recupero della forma fisica, accoglie l’opportunità offerta dalla FIR di seguire i corsi di arbitraggio. È in quel momento che si apre un mondo: «l’arbitro ha la migliore posizione in campo!». Marius, ancora per qualche anno, gioca con deroga ad arbitrare; continua ad allenarsi a Paese, mentre perfeziona lo studio del regolamento; nel giro di tre anni viene promosso nella massima categoria italiana e arbitra l’Eccellenza.
Il punto di svolta della carriera è il primo Test Match Belgio-Canada, arbitrato nel novembre del 2010, cui seguiranno nel 2011 le partite del Pro12 (in precedenza denominato Celtic League e ora Pro14) in Europa, fino ad arrivare, nel 2015, al Test Match di Twickenham tra Inghilterra e Galles con ben 82.000 spettatori sugli spalti.
A seguire, decine di partite arbitrate ogni stagione; un viaggio quasi ogni settimana; voli continentali e voli transoceanici fino in Giappone, Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia…; una sistematica preparazione atletica e tecnica, e severi test fisici, cui sottoporsi anche dopo molte ore di viaggio, tra un continente e l’altro; studio, analisi dei video delle partite e aggiornamento continuo perché le regole del gioco cambiano…
Autocontrollo, capacità di organizzazione e una straordinaria attitudine a prendere decisioni in tempi rapidissimi sono il bagaglio che Marius porta con sé.
Per arbitrare partite internazionali del calibro del Test Match Giappone-Scozia, disputato all’Ajinomoto Stadium di Tokyo nel giugno 2016 davanti a 70.000 persone (numero record per una partita giocata in Giappone), alla presenza dell’imperatore – che raramente si mostra in pubblico –, non basta una buona dose di maturità e di lucidità. Servono una spiccata propensione, quasi di stampo manageriale, alla gestione delle persone. Bisogna conoscere le lingue (Marius ne parla fluentemente cinque), sapersi adattare ai contesti e saper lavorare in gruppo con il team di arbitri.
Ma soprattutto, è fondamentale saper prendere decisioni quasi istantanee, assumendosene la responsabilità ma sapendo pure che è umano sbagliare e doveroso riconoscerlo. «Meglio un errore che una decisione non presa!».
Anche il rapporto con i giocatori “fa parte del gioco”! Sul campo, tra breakdown, mischie, touche e azioni di gioco, per Marius, da sempre, è importante guadagnarsi la fiducia e la stima ponendosi in modo pacato, senza alzare barriere solo in virtù del ruolo rivestito, lasciando sempre aperta la porta al dialogo.
Analizzare, nel post partita, il proprio arbitraggio e ammettere che qualche errore può capitare, significa trasformare il negativo in ulteriore esperienza.
Per il Rugby Paese, è motivo di grande orgoglio che Marius continui a usare i suoi campi per gli allenamenti e che dia il suo autorevole contributo, quale Responsabile di disciplina, al controllo dell’adeguatezza del gioco della prima squadra al regolamento.
Al termine della nostra chiacchierata, è forte la consapevolezza che per arrivare ai livelli di Marius, lo spessore umano, la serietà, la capacità introspettiva, al di là della preparazione tecnica, sono doti personali imprescindibili.
Ferena Lenzi